Le due bambine, il pettirosso e la neve.
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C'era una volta, in un minuscolo paesino di montagna, una coppia felice, l'uomo era nato proprio in quel piccolo agglomerato di casette, alle pendici della montagna e la sposa proveniva da un paesino poco più popolato, a circa due chilometri più a valle.
A quei tempi non c'erano i mezzi di trasporto di oggi e si andava a piedi, anche per questo non c'erano in circolazione tanti "ciccioni".
Lui faceva il contadino e nei suoi campi coltivava il grano, che poi portava al mulino, e da lì ne usciva sotto forma di farina, che sarebbe servita per la produzione del pane per tutto l'anno, e la pasta, naturalmente.
Aveva anche piccoli appezzamenti boschivi dai quali ricavava legna per il fuoco e un orto che bastava alle necessità familiari. Lei, la moglie, si dedicava alla casa e, all'occorrenza, aiutava il marito nei lavori campestri.
Al piano terra dell'abitazione c'era la stalla che conteneva due mucche, "la bionda" e "la stellina" che producevano il latte e poi c'era il maiale, l'animale più importante di tutti, perchè forniva ogni tipo di carne e salumi, senza dimenticare il grasso, che data la scarsità dell'olio, era quasi sempre, l'unico condimento in cucina, persino per condire l'insalata.
A proposito del maiale, essendo questa storia ambientata in un paese marchigiano, a chi volesse fare la solita battuta: "meglio un morto dentro casa che un marchigiano fuori dalla porta", posso senza dubbio ribattere spiegando che un fondo di verità c'è ma l'interpretazione è senz'altro errata.
L'equivoco è nato molti e molti anni fa, addirittura risalente al periodo in cui l'Italia non era unita e la zona delle Marche era compresa nello Stato della Chiesa. Ebbene, da questa regione, in particolare, provenivano i gabellieri, cioè quegli impiegati comunali incaricati di riscuotere i tributi dai cittadini.
Il morto dentro casa era il maiale, che riforniva di carne le dispense ed è risaputo che quando c'è abbondanza di cibo la gente è felice. Allora, potendo scegliere tra l'agente del fisco che bussa alla vostra porta di casa e la dispensa piena di prosciutti e salsicce, cosa scegliereste?
Ecco perchè il detto "meglio un morto, ecc. ecc."
Finalmente, nacque una bambina, anche se lui avrebbe voluto un maschio, aveva persino preparato il nome Valter, che all'epoca era senza dubbio un nome non convenzionale, specialmente in quelle zone. Ma comunque, voleva molto bene alla sua bimba e giocava sempre con lei, quando c'era la neve se la metteva in collo e la portava fuori a cercare gli uccellini in difficoltà.
Quando la piccola ebbe tre anni arrivò la sorellina, paffutella, e la mamma aveva un gran da fare con le piccole, la casa e tutto il resto, ma crebbero alimentate dall'amore e dal cibo veramente naturale che i genitori procuravano.
Quando il papà si recava su in montagna a lavorare la legna, nel far ritorno si fermava a raccogliere le fragoline di bosco per farne dono alle figlie, che accettavano il dono con grande entusiasmo.
All'età di cinque anni, la maggiore iniziò la prima elementare, il suo papà che era anche una persona che ricopriva una sorta di carica pubblica, per evitare che togliessero la scuola a causa dell'esiguità del numero di iscritti, le fece anticipare l'inizio della educazione scolastica di un anno.
La scuola era situata a circa trecento metri dalla loro abitazione e la stradina era in salita, ed allora il papà prendeva in braccio la bimba e la accompagnava in classe, soprattutto nel periodo invernale, quando c'era la neve alta.
Lì, dentro la scuola che era formata da una sola stanza, c'erano i vari banchi e ciascuno di essi conteneva due alunni di classi diverse, era un'aula comune con varie classi ed un'unica maestra. All'ora di pranzo arrivava la mamma di turno con il cibo cucinato per tutti e continuavano la vita insieme, tra parenti e piccoli amici.
In uno di quei giorni invernali, la bimba più grande uscì di casa e vide un pettirosso, mezzo morto di freddo, che faceva piccoli passi sulla neve, allora lei lo prese in mano e se lo portò in casa, vicino al fuoco, per scaldarlo e farlo guarire.
Il papà era bravissimo in tutto quello che faceva, sapeva anche suonare la fisarmonica che gli avevano regalato i fratelli che, nel frattempo erano emigrati in una grande città in cerca di fortuna.
La sera, dopo una giornata di lavoro si metteva in marcia per andare a suonare nelle feste paesane, a volte suonava anche nella sua casa, saliva sul tavolo e, seduto su una sedia, improvvisava serate musicali cantando le arie famose dell'epoca.
La gente ballava e si trascorrevano ore spensierate e felici, anche i piccoli assistevano all'evento ma ad un certo punto arrivava la mamma e le bambine salivano le scale che portavano nella loro camera, e si addormentavano cullate dalla voce del loro papà.
Con l'approssimarsi del Natale cresceva nelle bambine una sorta di eccitazione ma non per i doni che potevano ricevere, poichè non c'erano giocattoli o giochi da comprare, le uniche cose che venivano regalate erano frutta secca e mandarini, ma non conoscendo altri modi per festeggiare, loro non ne sentivano la mancanza. La cosa che più le teneva in ansia era il gran prodigio che avveniva nel grande camino la mattina di Natale.
Infatti, di buon'ora, a piedi scalzi, le piccole scendevano le scale che portavano alla grande cucina e si avvicinavano al focolare ormai spento e cercavano nella cenere del fuoco della sera precedente, le piccole impronte dei piedini di Gesù Bambino, che si diceva fosse sceso dal camino per portare i piccoli doni.
Le loro aspettative non vennero mai deluse, l'amore dei loro genitori compiva sempre questo piccolo miracolo.
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Escursione alla Valle delle Prigioni e Monte Cucco.
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Con il solito, simpatico gruppo di montanari, alcuni indigeni ed altri emigrati ma comunque affezionati ai luoghi stupendi dai quali tutti noi proveniamo, abbiamo osato, in una calda estate di qualche anno fa, attraversare la famigerata Valle delle Prigioni.
La sera precedente prendemmo accordi circa l'orario della partenza, l'itinerario da percorrere, e dopo aver scrutato il cielo alla ricerca dei segnali meteorologici propizi, ci demmo la buona notte.
Alle sei del mattino successivo, ci preparammo per la grande giornata, avevamo intenzione di fare un giro incredibile, volevamo arrivare a Monte Cucco passando dalla Valle delle Prigioni. Mai avevamo osato tanto, ma l’entusiasmo era alle stelle e così riempimmo i nostri zaini ed iniziammo la marcia.
Partimmo da San Felice passando per Le Case, una parte della frazione da cui si origina un sentiero leggermente in discesa, che via via diventa più scosceso e ripido, attraversando la fitta boscaglia e già cominciammo a trovare le prime difficoltà. Da qualche giorno, infatti, pioveva a scrosci, durante la giornata, poi tornava il sereno, ma nell'intrico del sottobosco stentano a passare i raggi del sole e di conseguenza ne uscimmo fuori fradici dalla vita in giù.
Tra noi c'era il più esperto, il solito uccello del malaugurio, dicevamo, che non dimenticava mai di mettere nel suo zaino l'ombrello, anche se il cielo era perfettamente terso e il Bernacca di turno aveva previsto bel tempo fino al Natale successivo.
Scendemmo fino al Sasso, dopo l'abitato di Perticano, c'è il sentiero che comincia a risalire per andare su fino all'Eremo di Monte Cucco (anche noto come Eremo di San Girolamo), ma noi facciamo una deviazione che ci porta ad un altro sentiero meno mistico ma molto più impegnativo.
In basso si sentono le acque del Rio Freddo che gorgogliano saltellando sui massi e con il nostro passo da montanaro esperto, proseguimmo il cammino. In quella occasione la compagnia fu particolarmente eterogenea, poiché il gruppo comprendeva la presenza davvero speciale ed insolita di un nostro compaesano ormai trapiantato in Canada da moltissimi anni.
Era mio coetaneo, compagno di scuola e di giuochi, fin dalla più tenera età, ma un giorno lasciò tutto e raggiunse i suoi parenti nel nuovo continente; per molto tempo ebbi di lui soltanto notizie di seconda mano.
Ma quell’anno era in vacanza e volle partecipare con noi a questa straordinaria escursione.
Comunque, arrivati ad un certo punto del percorso, la cosa si faceva interessante e anche scomoda perché bisognava passare dentro una ex condotta dell'acqua, carponi, con gli zaini in spalla che ci impedivano di avanzare agevolmente a causa della grandezza del tubo, piuttosto angusto, con il suo diametro di poco meno di un metro.
Avevamo come compagno anche un cane che, passando in fila indiana nel tubo, agitando la coda, sembrava voler scacciare le mosche al fortunato che seguiva. Non vi posso descrivere quante risate a crepapelle, chi soffriva di claustrofobia spingeva il gruppo ma con quel groviglio di gambe, zaini, code di cani e bastoni, non se ne veniva a capo.
Finalmente superammo anche questo ostacolo e si aprì ai nostri occhi uno scenario spettacolare, passammo in un tratto sempre costeggiando il fiume, con rocce e spaccature della montagna da sembrare un paesaggio veramente insolito per quei luoghi dalla fitta vegetazione.
Naturalmente il solito, non posso fare nomi ma c'era sempre, l'affamato che doveva fare la seconda colazione, tirò fuori dallo zaino il panino e cominciò il suo spuntino bevendo l'acqua fresca offerta dalla natura.
Proseguimmo il cammino in salita, e cominciammo ad avere la visuale più ampia, eravamo in una zona in cui c’erano uomini e cavalli, che trasportavano la legna.
Poco più avanti trovammo un grande fontanile chiamato Acqua Passera, un grande abbeveratoio ristoratore per mandrie e viandanti come noi e lì naturalmente ci scappò un altro spuntino, innaffiato, si fa per dire con le fresche acque del Pian delle Macinare.
Arrivati in questo grande spiazzo il cammino diventò per poco più agevole ed allora, con più fiato a disposizione, potevamo permetterci di scherzare prendendo in giro questo o quell’altro montanaro, ma ben presto dovemmo riprendere i piccoli sentieri ora in salita ora in discesa e risparmiammo il fiato.
Finalmente qualcuno disse: quando ci fermiamo a mangiare? Non ce lo facemmo dire due volte: posammo a terra i nostri zaini e, dopo esserci seduti, timidamente spuntò un panino qua, un pomodoro là, (c'era sempre chi stava a dieta) ma quello che più ci stupì fu il nostro montanaro più anziano, a suo dire irrimediabilmente astemio, che tirò fuori come per magia, la bottiglietta del vino rosso.
Eravamo seduti a conversare e a mangiare il nostro poco lauto pasto quando il “montanaro” disse guardando il cielo: "via, andiamo presto che tra poco piove!".
Guardammo il cielo e poi il livello del liquido scuro nella bottiglia e ci venne il dubbio che avesse esagerato con il vino, data la sua astinenza decennale.
Ma lui insistette e siccome noi eravamo rispettosi dell’esperienza e dell’età, di malavoglia rinfoderammo le nostre vettovaglie e ci rimettemmo in cammino. Non avemmo neanche il tempo di verificare se qualcuno aveva portato il barattolo della marmellata che tanto ci rinfrancava a fine pasto.
Incontrammo appassionati di deltaplano che preparavano i loro velivoli ma dovemmo proseguire velocemente perché, secondo il nostro anziano, di lì a poco poteva venire il temporale.
A questo punto, sulla strada che ci avrebbe portato a Monte Cucco, cominciammo a sentire il rumore preoccupante del tuono, accelerammo il passo e cominciammo ad essere colpiti dalle gocce di pioggia.
Il nostro meteorologo con fare disinvolto tirò fuori dallo zaino l'ombrello e cominciammo a correre per raggiungere al più presto la Val di Ranco, dove avremmo trovato riparo all'interno di uno dei due ristoranti del luogo.
Qualcuno improvvisò un copricapo con buste di plastica, qualcun altro fingendo di parlare di argomenti importanti si mise sotto braccio all'unico possessore del prezioso parapioggia, qualcun altro si inzuppò come un pulcino.
E tutti, alla fine, arrivammo alla meta, ridendo a crepapelle per come ci eravamo ridotti. Ci fermammo per un momento davanti alla porta del ristorante, preoccupati di dover entrare grondanti acqua e con l'aspetto da disperati, ma avevamo necessità di asciugarci e riassumere un minimo di parvenza umana.
La sala del ristorante era gremita di avventori e turisti e, al nostro ingresso sgranarono tanto d'occhi e smisero di mangiare. Ci azzardammo ad attraversare la sala sotto gli sguardi incuriositi e impietositi dei clienti, per dirigerci verso i bagni e, cominciò tra di noi la trattativa sul vestiario di scorta che qualcuno più previdente si era premurato di infilare nello zaino.
Riuscii a rimediare un paio di bermuda maschili di tre taglie più grandi ma furono ben accetti, per l'operazione di spoglio e vestizione però, impiegammo molto tempo perché tutto questo avvenne con grande gaudio e risate, tanto da non riuscire a stare in piedi, soprattutto quando il nostro canadese ci comunicò bellamente che sarebbe entrato nella sala del ristorante per chiedere ai commensali se qualcuno gli avrebbe venduto un paio di jeans.
Questi italo-americani!
Riuscimmo a dissuaderlo e ci recammo al bar per sollazzarci con qualcosa di caldo che ci desse un po’ di sollievo, ma dopo il caffè, più o meno corretto, passammo alla correzione pura e, dulcis in fundo, la bottiglia di prosecco per brindare alla nostra prodezza.
Eravamo stanchi, concitati e zuppi ma ci risollevammo e riprendemmo la via del ritorno. Il percorso proseguiva per un tratto a ritroso, ma poi dovemmo deviare per arrivare in cima a Lospicchio, altra sommità panoramica degna di nota.
Raggiunta la cima, ci sedemmo per un’altra sosta, prima di riprendere l'ultimo tratto che ci avrebbe ricondotti alle nostre case e, controllando gli zaini, ci accorgemmo che qualcuno era ancora in possesso di qualche biscotto o tozzo di pane. Ma, cosa ancor più incredibile, c'era lei, la tanto desiderata marmellata, da consumare obbligatoriamente con le dita, infilandole a turno, nel barattolo.
Questo ci convinse in modo definitivo che la nostra giornata si era conclusa felicemente e, cantando e scherzando, riprendemmo la strada del ritorno.
Negli anni che seguirono tornammo "dal prigioniero" come dicevamo tra noi, ma il ricordo di quella giornata rimane senz'altro indelebile ed insostituibile per tutti noi.
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Clickyes, per inviare email con VBA su Microsoft Outlook Express.
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Per tutti coloro che usano Visual Basic for Application e che impazziscono nel cercare una soluzione per automatizzare l'invio di emails via Outlook Express o Microsoft Outlook.
Il codice per l'invio dell'email è il seguente:
Sub invia_Email_sa_microsoft_outlook_usando_VBA()
Dim myOutlook As Object
Dim myMailItem As Object
variabileEmailDelDestinatario = "info@dominio.ext"
Set otlApp = CreateObject("Outlook.Application")
Set otlNewMail = otlApp.CreateItem(olMailItem)
fName = ActiveWorkbook.Path & "\" & ActiveWorkbook.Name
With otlNewMail
.To = variabileEmailDelDestinatario
.Subject = "OGGETTO DEL MESSAGGIO"
.body = "TESTO DEL MESSAGGIO"
.Display
.send
End With
End Sub
A tutti quei disperati che perdono ore alla ricerca in rete di quella magica porzione di codice da poter incollare nel proprio Visual Basic Editor per riuscire ad evitare quell'odiosa e maledetta finestra che vi chiede se volete inviare l'email (e che se non siete voi trattasi di un virus) o se annullare l'operazione.
A tutti coloro che maledicono microsoft per non aver in nessun modo pensato che se si ATTIVA la MACRO in un progetto Excel, automaticamente significa che stiamo dando il consenso ad un'applicazione che per assurdo potrebbe essere programmata anche per cancellare tutti i files dell'hard disk, e che quindi un ulteriore richiesta per inviare un'email è a dir poco ridicola. Senza contare che comunque non esiste in alcuna parte di Outlook un'area in cui poter "sproteggere" la sicurezza.
Come a dire, "Hey Squid, Io Microsoft non ti lascerò fare questa cosa, neanche se sei cosciente che sproteggendo Outlook il tuo pc potrebbe squagliarsi o che potresti inviare email con scritto scemo chi legge ad ognuno dei tuoi destinatari".
La soluzione è qui:
http://www.contextmagic.com/express-clickyes/free-version.htm
Un programmino gratuito simpatico che se attivato esegue il click per noi quando tale finestra di windows è attiva. Ottimo da installare sulle postazioni di lavoro in cui sono depositate e attive le nostre applicazioni in VBA.
Una geniale intuizione che aiuta molto, anche se non risolve in toto il problema, soprattutto perchè il tempo di attesa per dare l'ok nella fastidiosa schermata, di circa cinque secondi, permarrà lasciandovi comunque l'amaro in bocca.
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Commercialista Roma
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Volevo segnalare una preziosa esperienza che ho fatto negli ultimi anni e consigliare lo studio commercialista a Roma a tutti coloro che necessitano di un commercialista serio e soprattutto capace di consigliare il cliente senza cadere in situazioni poco chiare. Un team decisamente serio e affidabile che segue le aziene o le ditte individuali con competenza e interdisciplinarietà. Il migliore commercialista a Roma con conoscenza di diritto internazionale, diritto societario, consulenza finanziaria e legale. Tutto racchiuso in un unico partner.
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La ragazza che giocava con il fuoco di Stieg Larsson.
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Dopo aver letto il primo libro della trilogia di Stieg Larsson "Uomini che odiano le donne" del quale ho disquisito qualche tempo fa, mi sono talmente appassionata ai personaggi in esso contenuti da non potermene staccare facilmente, infatti ho iniziato a leggere il secondo impegnativo episodio e, con mia grande sorpresa, l'ho trovato ancor più intrigante del precedente.
E' più incentrato sul personaggio femminile di Lisbeth Salander, con la sua personalità controversa ma affascinante, in fuga dal suo mondo che la perseguita ma comunque presente a suo modo. Essendo una esperta informatica, riesce a comunicare con il protagonista maschile tramite internet facendo ben attenzione a non farsi scoprire.
Mi dispiace soltanto che in questo episodio di Millennium non ci siano riavvicinamenti significativi tra i due protagonisti, ma nell'ultimo libro vedremo cosa succederà. Io tifo per loro.
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