E la vita continua, in un pomeriggio piovoso di novembre.

  

Questo articolo ha atteso fino ad oggi per essere pubblicato, per motivi privati e non precisati (Nota di Squid).

In questi pomeriggi piovosi di novembre, non avendo nessuna voglia di mettere il naso fuori di casa, al massimo mi fermo davanti alla finestra ad apprezzare il giallo delle foglie cadute e di quelle che ancora, tenacemente, resistono sul pergolato davanti alla mia casa.

Cosa inventare per trascorrere un'ora, malinconicamente e pigramente? LA SOFFITTA. Questo luogo in cui si accantonano ricordi di una vita, oggetti dimenticati che, tornati tra le dita fanno riaffiorare teneri momenti o dolorosi brandelli di una vita trascorsa, bene e male a seconda dei periodi e delle vicende.

Ho trovato, sotto un cumulo di scatole, una vecchia valigia di legno, del periodo dell'ultima guerra, in cui sono custodite le lettere che mio padre e mia madre, allora fidanzati, si scambiavano amorevolmente. Mi sono immersa avidamente, nella lettura di quelle vere e proprie poesie, dalle grafie svolazzanti, come se ogni lettera fosse il prodotto di un attenta composizione grafica oltrechè poetica.

Non ho potuto fare a meno di commuovermi nel cogliere la delicatezza del loro rapporto d'amore, il rispetto reciproco e quello verso le rispettive famiglie, la timidezza che affiora nel trattare il tema della lontananza e la concretezza nel progettare il futuro. Ma poi, improvvisamente, a causa dello scarso rispetto della cronologia, mi sono trovata tra le mani una delle lettere provenienti dall'ospedale in cui mio padre fu ricoverato per una malattia grave.

Per chi avesse letto, in questo sito, il racconto "le due bambine, il pettirosso e la neve" e gli episodi successivi, forse comprenderà meglio quello che sto raccontando. Ho iniziato a leggere, la grafia bellissima pian piano, al progredire della malattia, diventava sempre più irriconoscibile, finchè un giorno, smise di produrre rassicuranti bugie.

Mi ha sopraffatto la tenerezza quando ho letto che dall'ospedale dirigeva la conduzione dell'economia familiare, dettando raccomandazioni a mia madre sul raccolto e sulla vendemmia e lei gli rispondeva con tutti i dettagli scrupolosamente.

Vi è anche un cenno alla mia salute, chiedeva a mia madre se avessi ancora la febbre, raccomandava di non prendere freddo e di mangiare abbastanza per essere forti nel gelo invernale.
Mia madre, dal canto suo, si rammaricava di non potergli essere vicina, essendo lui a Roma e noi in un piccolo paese delle Marche, e comunque, con l'aiuto di parenti caritatevoli, si riusciva a fargli avere un pò di conforto e compagnia.

"E' bene che tu stia tranquilla che, speriamo in un periodo non lungo, la nostra famigliola sarà di nuovo riunita per non dividersi mai più per queste ragioni". Questa è una delle frasi che conclude una delle lettere inviate a mia madre dall'ospedale. Purtroppo le sue e le nostre speranze sono naufragate in un inesorabile addio.

Questo è quello che ho fatto in un piovoso, malinconico pomeriggio di novembre.

E la vita continua.
Mammut


   

  
  


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