MARINA di Carlos Ruiz Zafòn
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Dopo la premessa dello srittore, "Fra tutti i libri che ho pubblicato... Marina è uno dei miei preferiti", mi aspettavo davvero molto.
Niente da dire sul modo di scrivere di Zafòn che, come avevo scritto in merito al "Il principe della nebbia", nel giro di poche righe immerge il lettore (predisposto) in una Barcellona che non esiste più. Nessuno di noi turisti, affannati in cerca di TANTE emozioni in POCHI giorni, potrà mai scorgere tra i palazzi di Gaudì, o nella grande giostra notturna di gente in cerca di divertimenti e sballi di ogni genere, l'intimità della città descritta nei romanzi dell'autore.
Lui la sua Barcellona la conosce benissimo, palazzo per palazzo. Ed è proprio sbirciando in uno di questi, solo apparentemente, abbandonato, che inizia l'avventura del protagonista, Oscàr. La storia richiama moltissimo il romanzo scritto successivamente (anche se pubblicato 8 anni fa) "L'ombra del vento" del quale però non ne rappresenta che una bozza. Tutto ciò che si discosta è eccessivo ed estremamente triste.
Non c'è un personaggio simpatico (come Fermìn) e sono rarissime (forse una) le situazioni piacevoli che possano creare distacco da una storia di morti, resurrezioni, odori fetidi, donne violentate, ferite, deturpate, corpi divelti e riattaccati come capita.
Ed in nome di cosa? Non si è capito. Oscàr era triste all'inizio del libro, orfano in un collegio, ma molto, molto più triste alla fine del libro. Forse per l'autore Marina è realmente vissuta o forse, è solo una metafora della vita. Ma se così fosse, lasciate ogni speranza o voi che iniziate a leggere...
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