Le due bambine ed il ritorno.
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... continua da "Le due bambine, la gioia e il dolore."
Trascorsi gli anni della fanciullezza, le due bambine continuarono a vivere in quel luogo triste che era il collegio, piano piano si adattarono a quel tipo di vita fatta di regole, impegni scolastici e mansioni ma soprattutto di preghiere.
Dopo le ore dedicate al sonno, quelle impiegate a pregare o ad ascoltare messe erano certamente le più numerose, e le ore di svago erano veramente scarse. Anche così trovarono la forza di andare avanti, infatti la loro mamma continuava a promettere loro che l'anno successivo le avrebbe riprese con sè e loro le credevano, non sapendo che questa era solo una pietosa bugia.
Ma poi, fortunatamente e puntualmente arrivava l'estate ed allora la loro clausura si tramutava in libertà assoluta. Finalmente avevano la possibilità di tornare al loro amato paesello, ma essendo ancora piccole e poichè la mamma non poteva stare con loro neanche nel mese di agosto, venivano affidate ad una zia molto buona che se ne prendeva cura come se fossero sue figlie, tanto ne aveva già altre due che vivevano con lei.
Arrivando al paesello, nella cornice stupenda delle montagne che tanto amavano, la città sembrava non essere mai esistita e le due sorelline facevano tutto il possibile per non ricordare il luogo da dove provenivano e dove sarebbero tornate di lì a poco.
Ma un mese era un'infinità di giorni e se li godevano tutti facendo quelle semplici cose come andare in montagna a controllare le pecore che pascolavano o guardare i contadini che mietevano il grano. Poi la sera si cenava tutti insieme e prima di andare a dormire c'era la "veglia".
Era questo un modo di stare insieme, dopo cena ci si radunava in una casa se era freddo, oppure all'aperto, sui gradini delle case se faceva caldo.
Nelle sere in cui non si poteva stare all'aperto ci si radunava accanto al fuoco e le bambine, assieme agli altri amichetti, si infilavano sotto la tenda che circondava il camino, sedute sulla panca ad ascoltare i racconti degli anziani.
Restavano lì in silenzio, quasi senza fiatare, cullate dalla voce del narratore che con enfasi esagerata decantava racconti di guerre e di migrazioni. Molti di loro erano stati a lavorare nei paesi del nord Europa, nelle miniere di carbone, o erano scampati alle guerre mondiali.
Era bello per loro quando, durante queste veglie, si facevano cose come sgranare granturco, per togliere i gialli chicchi che sarebbero poi stati macinati per farne farina per la polenta.
Ma il momento più emozionante era quello della trebbiatura. Si attendeva con ansia di vedere spuntare dalla curva sotto la chiesa, il lungo veicolo di colore arancione che con gran fracasso emergeva in tutto il suo splendore.
Si faceva fatica a distinguere l'uomo che guidava quel grande trabiccolo e ci si affollava correndo per capire in quale campo sarebbe andato ad insediarsi.
Iniziava così una settimana movimentata, i bambini erano sempre lì attorno a curiosare e ad ascoltare il rumore ritmico della macchina che divideva il grano dalle spighe e alla sera tornavano a casa per la cena tutti ricoperti di un giallo strato di pula, polvere che penetrava anche nelle case.
Ma la macchina diventava ancor più affascinante la notte, al calar del sole accendeva i grossi fari che illuminavano i campi e i bambini non volevano lasciare quell'attrazione, quasi fosse una giostra, ma poi dovevano andare a letto e si addormentavano con il rumore della trebbia nelle orecchie.
Accadeva che al mattino, alzandosi dal letto ed affacciandosi alla finestra l'incanto era sparito completamente, l'unico segno del passaggio della trebbiatrice era la scomparsa dei covoni di grano e l'apparizione delle balle di paglia, ma altre volte, quando il lavoro terminava nel pomeriggio, gli operai ed i contadini facevano festa sull'aia con cene, canti e balli, accompagnati dalla fisarmonica.
Le due sorelline non soffrivano per la mancanza della mamma perchè erano abituate a vivere senza di lei e, quelle poche volte che le raggiungeva per stare con loro per qualche giorno, sconvolgeva la loro vita con premure e attenzioni a cui loro non erano abituate e questo non veniva apprezzato dalle bambine.
Ma poi c'era un altro evento che si profilava all'orizzonte: la festa del patrono del paese. Le massaie cominciavano a cucinare una settimana prima per essere sicure che ci fossero abbastanza cibi per il grande pranzo. Venivano accesi i forni a legna e si cuocevano i dolci, poi si uccidevano i polli ed i conigli destinati alla grande scorpacciata. La mattina della festa tutti si agghindavano con il vestito migliore e cominciavano a sfilare per recarsi nella chiesetta antica dove il prete scalpitava suonando le campane.
Intanto nelle case si imbandivano i banchetti e cominciavano ad arrivare gli invitati dagli altri paesi, per prendere parte all'evento.
Finalmente ci si metteva a tavola e dopo la grande abbuffata qualcuno si concedeva un pisolino in attesa della funzione religiosa del pomeriggio che culminava con la processione.
Questa era una sfilata che piaceva molto ai bambini, tutti in fila dietro alla statua della santa, portata a spalle dai rudi contadini per l'occasione agghindati come sacerdoti.
Si tornava poi verso casa per la cena, a base di "avanzi" sempre molto graditi e poi c'era la grande festa da ballo. I grandi si cambiavano e si dirigevano al punto di ritrovo, di solito era un'aia con il terreno accidentato su cui era difficile mantenersi in equilibrio ma la voglia di ballare fa miracoli.
Le due bambine si tenevano per mano e tornavano con la mente ai ricordi parzialmente cancellati della loro prima infanzia, quando era il loro papà a suonare la fisarmonica e a guidare le danze. Qualche lacrima scendeva dai loro occhi, ascoltando le vecchie canzoni che avevano accompagnato i loro primi felici sonni.
I giorni trascorrevano allegramente, con i loro amici di sempre, correndo appresso alle pecore o ammirando una cucciolata, la sera andavano sopra i covoni di paglia a guardare le stelle e le lucciole, ma poi inevitabilmente, i giorni finivano, restavano solo quelli per prepararsi al ritorno e l'umore delle bambine scendeva sempre più giù.
All'improvviso dovevano riprendere contatto con la realtà e la tristezza raggiungeva il suo culmine quando il treno cominciava la sua corsa verso il grigio, tetro destino.
Ma il momento più terribile era davanti al cancello del collegio, la bimba più grande si aggrappava ad una grossa pietra per non entrare, sperava di riuscire a vincere con la forza delle sue esili braccia, l'inesorabile ritorno alla vita di sempre.
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