Visual Basic editor e rotella mouse non scrolla.
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By Pierfattori
I programmatori di visual basic e visual basic for applications (VBA), ossia l'ambiente di sviluppo visual basic per il pacchetto office (excel, access e word) soffrono da anni per l'assenza della possibilità di usare la rotella del mouse (mousewheel) per scorrere su e giu il listato del codice del visual basic editor.
In questo articolo si descrive la soluzione al problema, e con alcuni semplici passaggi si potrà ripristinare lo scorrimento con la rotella del mouse sull'editor VBA.
Excel e Access, malgrado siano software Microsoft, si portano appresso problemini decisamente ridicoli, dei quali non si comprende la mancanza di un sostanziale update da parte della casa produttrice (forse perchè sono tutti concentrati a risolvere i casini mondiali di Windows sVista?).
Bando alle ciancie, potete scaricare lo zip contentente pdf esplicativo e files relativi rilasciati da Microsoft nel pacchetto mousefix Add support for the scroll wheel to the Microsoft Visual Basic for Applications 6 environment.
Disclaimer:
Neversleep non si assume responsabilità per eventuali danni arrecati al computer dall'installazione o l'apertura degli allegati scaricati dal sito www.neversleep.it ed installati sul proprio pc.
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Monte Cucco, storia di gite, grotte, pecore e tramonti scanzonati di giovani ragazze.
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Sono nata in un piccolissimo paese di montagna, alle falde del Monte Cucco, nel bel mezzo dell'Appennino umbro-marchigiano. Fin da piccola ho imparato ad amare quei luoghi caratteristici e ineguali, dalla finestra della mia casa si gode il più bel panorama possibile, con una piccola vallata e tutto intorno una cornice di monti dal profilo classico, con una sovrapposizione di cime che ricordano i disegni dei bambini dell'asilo.
Tra loro, proprio nel centro, un'insolita figura maestosamente rocciosa, il Monte Catria alto 1702 metri, mi ha da sempre affascinato. I suoi colori variano a seconda che sia mattino o pomeriggio, al mattino presto, nelle giornate di cielo terso, si ammanta di carta argentata mentre man mano che la giornata scorre si nasconde dietro una leggera velatura grigia. Quando cala il sole poi, il nero predomina e staglia ancor più nettamente il profilo nel colore del giorno che se ne va.
Alle spalle della mia casa, un po' nascosto dalla vegetazione dei boschi c'è il Monte Cucco, una delle mie mete preferite nelle estati trascorse in questo luogo magico.
Sin da ragazza mi arrampicavo volentieri su per i sentieri di montagna, con le mie cugine che vivevano lì e che dovevano accudire le pecore mandate a pascolare sui monti, partivamo con una piccola merenda a base di pane e formaggio e, chiacchierando, ci incamminavamo allegramente.
Arrivate sul posto ci sdraiavamo in terra guardando le nuvole sopra la nostra testa e fantasticavamo di ragazzi e di vacanze, a volte ci raggiungeva qualche amico e ci si metteva a scherzare ingenuamente.
Poi consumavamo il nostro pane e formaggio e bevevamo alla sorgente e, prima che facesse notte si tornava a casa.
A quei tempi, parlo degli anni sessanta, la vita rurale dei miei compaesani era scandita dai vari impegni campestri e dall'allevamento degli animali da cortile, da soma e da aratro. Infatti, le mucche oltre a provvedere alla produzione del latte per la colazione e per la preparazione dei formaggi, avevano anche l'ingrato compito di trainare l'aratro che solcava i campi nella predisposizione della semina.
Ma la montagna, così impervia e disseminata di anfratti offriva agli infaticabili dominatori del luogo, la legna giusta per produrre l'antico combustibile: il carbone.
Mio padre era uno di questi, partiva al mattino presto e dopo aver salito ininterrottamente il piccolo sentiero che portava verso le cime, ad un certo punto si inoltrava verso la Forra del Rio Freddo, una meraviglia per i turisti speleologici ma un inferno per chi doveva tagliare gli alberi adatti allo scopo.
Si procedeva al taglio e data la pericolosità del luogo ci si doveva spesso legare con delle funi, per timore di cadere nel vuoto per oltre cento metri di profondità.
In fondo al burrone, tra due pareti, scorre il Rio Freddo, un fiume che scende in piccole cascate, la vegetazione è molto rigogliosa e ora il silenzio è rotto solo dal rumore dell'acqua.
Ma allora no, i monti erano brulicanti di gente che segava, tagliava, e le loro voci fendevano l'aria a volte con canzoni e stornelli, naturalmente i più ottimisti come mio padre.
La vita del carbonaio era questa, sempre all'aperto, anche la notte, perché una volta accesa la carbonaia non si poteva lasciare senza controllo, poteva prendere fuoco il lavoro appena iniziato ed anche tutta la vegetazione circostante.
La sera si rifugiavano nelle grotte, ce n'era sempre una a portata di mano, e si addormentavano stanchi dove capitava, non certo su di un materasso. Qualche volta le mogli accorte partivano da casa con una pentola di polenta e qualche pezzo di formaggio ma a volte si dovevano arrangiare e procacciarsi il cibo sul posto.
Poteva capitare di riuscire a trovare qualche buon bocconcino, non mancava certo la selvaggina ma, so per certo, dai racconti preziosi dei vecchi del luogo, che non si disdegnava un bell'arrosto di pecora, lassù ne pascolavano molte.
A tale proposito si racconta della sottrazione di uno di questi animali rimasto indietro rispetto agli altri e che quindi fu candidato a finire sulla brace.
Poco più in là, in uno scenario degno della più fervida fantasia dantesca, sorge l'Eremo di Monte Cucco, arroccato sulla parete rocciosa disseminata di piccole grotte.
Questo luogo fu scelto come dimora da uomini assetati di Dio e di verticismo spirituale, desiderosi di evadere dal mondo, a diretto contatto con la natura, in un ambiente ideale per la vita meditativa e contemplativa.
I nostri monti si popolarono di questi solitari: Essi vivevano in piccole celle, costruite in luoghi solitari impervi, in grotte naturali, al riparo dalle intemperie e dagli animali. L'insieme delle celle separate formava l'eremo.
Alcuni però sentivano il bisogno di una sede comune ed ecco sorgere il monastero che nel tempo si arricchì di aule, refettorio e biblioteca.
Il primo abitatore, storicamente accertato, della spelonca di Monte Cucco, sotto l'immensa rupe, è il Beato Tomasso da Costacciaro, che vi ha dimorato per quasi 65 anni, e vi è morto nel 1337.
Nelle mie varie escursioni, nel corso degli anni, accompagnata da un piccolo gruppo di amici, appassionati della montagna ma più precisamente di quei luoghi che sentiamo nostri, per nascita, per appartenenza affettiva, ho imparato a riconoscere i sentieri, che come piccoli fili, intrecciano la tela geografica di questi posti incantevoli.
Si partiva dalla Torre di San Felice e si cominciava la salita, non senza essersi muniti di tutti quei generi di conforto quali la merenda, la pomata contro le punture degli insetti e un bastone utile per aiutarsi nella salita. La borraccia con l'acqua si poteva anche dimenticare perché qua e là c'è sempre una sorgente o una fonte che ci possa dissetare.
Era divertente vedere al nostro passaggio quelli che rimanevano in paese che ci aspettavano sull'uscio di casa ciascuno formulando il proprio saluto più o meno ironico.
Tra noi infatti spesso capitava qualcuno meno esperto ed allenato che bisognava poi trascinarsi dietro.
Ma tra i più affiatati c'era ormai una sorta di comportamento standard, si sapeva perfettamente dove l'uno si sarebbe fermato per fare il primo spuntino o dove un altro avrebbe cominciato a dire quelle sciocchezze che tutti volevamo sentire.
Per tenere lontano i tafani, abbondanti nella stagione estiva, ciascuno si procurava un piccolo ramoscello frondoso, che avrebbe agitato per tutto il percorso davanti al proprio corpo, per evitare fastidiose punture.
Iniziavamo il percorso seguendo un sentiero già battuto dai nostri antenati quando si recavano al lavoro di boscaioli facendosi largo tra i rami frondosi che pian piano invadevano il sentiero, dando colpi di roncola per rendere più agevole il transito.
Man mano che l'abitato si allontanava ci sentivamo sempre più distaccati dal mondo civile e la natura mostrava i suoi colori in tutte le sue tinte e sfumature.
Dopo aver salito un lungo tratto si arrivava in un poggio da dove si godeva un panorama splendido, a sinistra c'era un dirupo e in fondo scorreva il fiume. Sulla destra una parete rocciosa che chiamiamo l'Orneta e proseguendo il cammino si saliva il tratto più difficile.
Si chiama la Cottabella e bisogna affrontarla con molta grinta perché è molto ripida e sdrucciolevole, ma al termine di questa si arriva ad un bivio meno pesante e qui bisogna scegliere se andare a destra o a sinistra, perché andando verso destra si arriva sulla Croce, una sommità dalla quale si gode una vista meravigliosa.
Abbassando lo sguardo si vedono dei paesini incastonati nel verde, il primo è San Felice, dal quale proveniamo, più in basso c'è Perticano con il suo laghetto artificiale e a sinistra si vede Pascelupo, in direzione del monte Catria, maestoso nella sua bellezza.
Alle nostre spalle troneggia il Monte Cucco, montagna calcarea chiamata "la grande piramide" e quella era solitamente la nostra meta, così dopo aver fatto un fugace spuntino, riprendevamo il cammino verso l'alto, passando per un luogo chiamato il “Passo della Porraia”.
Questo sito ha una particolarità: scavando appena sotto un lieve strato di sassi, si possono trovare delle conchiglie fossili a testimonianza della teoria secondo la quale l'Appennino una volta era sommerso dalle acque.
A questo punto si scende per un po' costeggiando un fiume che spesso in estate è asciutto e poi ci si intrufola di nuovo nel bosco e ricomincia la salita, spesso si incontrano mandrie di mucche al pascolo e poco più su ecco un bell'abbeveratoio, qui ci si fermava per dissetarci e riempire nuovamente le nostre borracce, prima di proseguire per l'ultimo sforzo attraverso un grande faggeto.
Incontriamo un invisibile confine chiamato la croce dei fossi che divide tre comuni e, dopo una faticosa ultima salita, eccoci nella Val di Ranco, un piccolo pianoro verde, che si può raggiungere anche in auto da due diversi fronti. Qui vi sono ville e ristoranti e prati per rilassarsi al sole o sotto grandi alberi, per un pic-nic o un sonnellino.
Da qui si decide se continuare fino alle grotte o se tornare indietro, ma i più temerari proseguono almeno fino all'entrata della grotta, magari ignorandola per proseguire fino alla cima.
Si attraversano prati con pascoli e appassionati di volo con deltaplano, e seguendo un sentiero impervio si arriva all'ingresso della grotta.
Qui si scendono 100 pioli in ferro ma non ci siamo mai entrati perché a quei tempi non erano aperte al pubblico. Infatti solo gli speleologi si arrischiavano a farlo in quanto la profondità di 900 metri e la lunghezza di circa 30 km costituivano un pericolo molto insidioso per i comuni mortali.
Proprio sopra l'ingresso della grotta ci si arrampicava mani e piedi per l'ultima tappa, la vetta del Cucco, arrancando per la fatica ma desiderosi di conquistare la cima credendo per poco di essere sull'Everest e dover piantare la bandiera, ma quando si arrivava in vetta c'era già sempre qualcuno che ci aveva preceduto, senza bandiera naturalmente.
Stanchi ma appagati ci si sedeva per ammirare il fantastico panorama, sorseggiando l'acqua delle borracce e, devo confessare, a volte spuntava anche quella del vino, che qualche allegro baccante non dimenticava di mimetizzare.
A questo punto bisognava decidere l'itinerario di ritorno, se si sceglieva quello più corto bisognava andare a ritroso, ma se si decideva per quello più lungo si andava a scalare un'altra cima chiamata Lo Spicchio.
Ricordo di una volta che decidemmo di fare merenda su quest'altura, da qualche zaino uscì fuori un barattolo di marmellata ed una bottiglia di vino con cui festeggiammo la nostra bella compagnia e tra cori montanari e risate, tornammo allegramente in paese.
Al nostro ritorno, invariabilmente, la gente usciva di casa per sapere quale fosse stata la nostra meta, e, alla risposta sincera che davamo loro, ci guardavano stupiti ed ammirati.
A malincuore ci lasciavamo per tornare ciascuno nelle nostre case e alle nostre famiglie, ma quelle esperienze ci tenevano uniti e formava tra noi un legame unico, talmente speciale che ne eravamo gelosi, non permettevamo a nessuno di entrare nella nostra piccola banda e, se a volte eravamo costretti a farlo, magari per obblighi di parentela, la consideravamo un'intrusione bella e buona.
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Call center, centri chiamata per passare ore al telefono e non risolvere nulla.
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Li chiamiamo "call center" come se noi italiani non avessimo sufficienti sostantivi per ogni definizione, ma ormai siamo globalmente uniformati e chi non si adegua rischia di trovarsi isolato e guardato dall'alto in basso.
Bene, sono d'accordo sul fatto che questi "centri chiamata" danno lavoro ad un certo numero di persone, ma dov'è andato a finire il vecchio e sano rapporto tra utente ed esercente? Parlo dei miei vani tentativi di risolvere una pratica con una società che fornisce energia elettrica.
Da ben due settimane sto cercando di mettermi in contatto con qualcuno che riesca a dirmi come andrà a finire la soluzione del mio problema ma, sembra di giocare al gioco dell'oca, dove, dopo molti passaggi, credi di essere quasi arrivato alla fine del percorso, ed invece c'è sempre qualcuno che ti fa ritornare indietro di qualche casella.
Ora, io non voglio dire che sia colpa degli impiegati del "call center" che per quanto possano, ce la mettono tutta nell'essere gentili con l'utente, anche perchè le telefonate vengono registrate e potrebbero perdere il tanto anelato posto di lavoro, ma il povero cittadino che vuole controllare lo stato del suo contratto non può ogni volta che chiama sentirsi rispondere: buongiorno sono Maria, in che cosa posso esserle utile? e la volta successiva, sono Giovanna o Davide e così via.
Siamo costretti a ripetere le stesse cose ogni volta ad un personaggio diverso e credetemi, tutto questo stanca, anche perchè c'è sempre in agguato il "gioco dell'oca".
Con tutto il rispetto per i giochi da tavolo, anch'essi soppiantati da quelli virtuali, rigorosamente etichettati con nomi inglesi, resto in attesa della "soluzione" del contratto.
Evviva l'efficienza!
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Ecologia, il ritorno a rifiuti zero. Imparare dal passato.
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Sto guardando in tv il film "Il vigile" con Alberto Sordi e mi è saltato agli occhi un particolare che mi ha riportato alla memoria vecchi usi dimenticati ma che al giorno d'oggi sarebbero molto utili nella lotta all'inquinamento e nella difesa del potere d'acquisto delle famiglie impoverite dalla crisi economica.
Proprio all'inizio del film c'è Alberto che viene incaricato dalla moglie di andare a comprare l'aceto e gli porge la bottiglia vuota che dovrà riportare indietro piena del liquido richiesto.
Lui si dirige verso l'osteria e dopo aver fatto riempire la bottiglia paga i suoi 40 centesimi. Io ricordo che negli anni cinquanta e sessanta si usava fare questo con molti prodotti ed infatti l'immondizia che si produceva in una famiglia era così scarsa che il netturbino passava di porta in porta per ritirarla.
Pensate soltanto a quanti flaconi di acqua distillata sono in circolazione, parlo dell'acqua che usiamo normalmente per stirare, il mio ferro da stiro ne è avido: Ebbene, io credo che il costo del flacone superi di gran lunga quello del contenuto, ed allora mi chiedo: "perchè non usare acqua distillata alla spina?"
Naturalmente questo lo si può applicare a qualunque merce in vendita, non voglio dire che bisogna andare a far la spesa con il cesto in vimini come mia nonna, anche se sarebbe più piacevole a vedersi, ma proviamo ad eliminare tutti quei flaconi super resistenti e tutte quelle bottiglie di plastica che dopo due sorsi di insulsa bibita, peraltro dannosa alla salute ed alla linea, gettiamo tranquillamente ove capita senza pensare alla sua destinazione finale.
Ecco, se ci fermassimo a pensare a questo saremmo a buon punto, nel trovare la strada per risparmiare, trattare meglio il nostro corpo e contribuire a ridurre l'inquinamento.
Nei prossimi giorni ho in mente di fare visita ad alcuni negozi di Roma, che grazie ad internet, ho trovato non lontano dalla zona in cui vivo e, dopo aver provato i prodotti alla spina, vi farò sapere.
Evviva l'ecologia!
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Cubo di Rubik 4 x 4 (quattro per quattro) comprato online.
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Emozionatissimo.
Ho comprato un cubo di Rubik 4 x 4 (quattro per quattro) i cui spigoli, semplicemente rispetto al classico cubo 3x3 sono composti da quattro tessere.
La complessità di risoluzione è decisamente maggiorata rispetto al rubik base, e tutte le certezze acquisite e la confidenza nella risoluzione del 3x3 in questo nuovo esemplare demoniaco vanno a farsi benedire.
Il costo è comunque raddoppiato rispetto al 3x3 (21,50 euro) ed è di difficile reperibilità. E' acquistabile online su ebay o presso negozi di giocattoli che già vendono il cubo di rubik classico. E' comunque possibile ordinarlo perchè il rivenditore italiano è il medesimo.
Si vocifera che a settembre usciranno anche i cubi di rubik 5x5 (cinque per cinque) e 6x6 (sei per sei).
Impossibile non possederli.
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